Un altro gay pride
di Pigi Mazzoli
pigi.mazzoli@libero.it
(pubblicato in "Pride", giugno 2005)


Ogni anno, in questo periodo, sono qui che scrivo del gay pride. Raccolgo i miei pensieri sereni, di speranza, d’amore, e scrivo. Quest’anno il pride nazionale sarà a Milano, la mia città, e ne sono felice. Sono pigro, e un po’ malmesso, sarà già un’impresa questa manifestazione per me. Per fortuna sarà il 4 giugno, e non verso il 28, data canonica, e spero sarà meno caldo. Io soffro maledettamente il caldo da quando prendo i farmaci per l’hiv. D’altronde, quando gli australiani spostarono il loro gay pride da giugno, periodo delle piogge, a carnevale, da loro piena estate, hanno avuto un successo travolgente.
Non vorrei parlare, non vorrei scrivere. Quest’anno sono un po’ triste. Un po’ che coi papi stiamo andando di male in peggio. Un po’ che alla inebriante gioia per le conquiste spagnole...
Ecco, non vorrei dire. Io pensavo, immaginavo, che dopo la vittoria elettorale spagnola, nonostante la promessa di estendere il matrimonio a tutti, e al mantenimento di questa promessa, anche qui...
Qui non hanno capito nulla. Gli ex democristiani ora nel centrosinistra continuano a dire che no, in Italia il matrimonio no, neppure le adozioni, figurarsi! Quelli del centrodestra, mi correggo, uno del centrodestra di cui non ricordo l’identità, che in televisione spiega che le unioni civili sono necessarie perché gli omosessuali (pausa perché non trova le parole adatte) sono anche una realtà economica (altra pausa) che va comunque tutelata perché loro... (altra pausa e fine dell’intervento). Vabbé che hanno perso le elezioni e anche l’unico esponente, la nipote del duce, che fosse favorevole ai gay, vabbé che col nuovo papa si sentono particolarmente tranquilli e tutelati nel loro concetto sacro di matrimonio, ma, a parte l’imbarazzo dell’intervistato nel trovare parole politicamente corrette per entrambi gli schieramenti, in fondo, molto in fondo, è un buon segno. Le motivazioni che adduceva sull’opportunità di tutelare queste... decisioni (le sue famose parole soppesate) a me apparivano ancora più giuste se le avesse usate per spiegare l’opportunità di estendere l’istituzione matrimoniale anche ai gay.
Ecco, alla luce di queste ultime cose io avrei preferito un salto di livello nella rivendicazione di uguaglianza, avrei abbandonato le unioni civili e sarei passato a pretendere il matrimonio. Potrebbe essere un azzardo, se si considerasse l’opportunità politica. Forse sono stati fatti sondaggi, siamo nella politica dei sondaggi, e si crede che quella intrapresa sarà la strada che darà più frutti. Io non sono un politico, posso permettermi di svelare i miei sentimenti. Io ora lo dico, lo scrivo, voglio il matrimonio.
Rosy Bindi in una simpatica intervista su la7 (quelle costruite per apparire simpatici) ribadisce matrimonio per i gay no, stratificando motivazioni che vanno dalla consuetudine, alla cultura italiana, alla biologia riproduttiva. Come se il matrimonio fosse sempre stato questo fin dalla sua creazione. Oggi non si può uccidere la moglie, per esempio, almeno da noi, come in passato. E che neppure ammettesse le adozioni, perché ogni bambino ha diritto a due genitori di sesso diverso (lo dice lei, io non sono esperto, ma deve essere un dogma cristiano) neppure mi sconvolge, me lo aspetto, da lei. Mi distraggo durante l’intervista, immagino una coppia dove il marito ha un male incurabile, alla moglie verrà vietato di rimanere incinta. Intanto passa in video un documentario su due lesbiche canadesi che hanno fatto due bimbi. Famiglia osservatissima, studiatissima. L’idea che ne ho, vedendo il filmato, è che quelle due hanno davvero la capacità di tirare su due figli. Se ne avessi uno da abbandonare, di loro mi fiderei, lo lascerei tranquillamente crescere in quella famiglia. Ho detto famiglia due volte, e con questa sono tre. Alla faccia delle unioni.
Ma mi fa male, mi disturba, che Livia Turco, da un altro schermo (io confondo ormai anche tutti i canali) dica che no, assolutamente, di matrimoni gay non se ne parla. Solo unioni civili. Lo fa con la stessa foga, violenza, con cui attacca gli avversari politici. Forse i sondaggi dicono che andrà lontano, ma io ho ancora nostalgia, una enorme nostalgia, per Laura Balbo. Forse nessuno la ricorda più. Sociologa, una delle più importanti, docente universitaria prestata alla politica come ministro per le pari opportunità in uno dei pochi governi di sinistra di questo paese. Dopo pochi mesi, in una intervista, dichiara che i gay hanno gli stessi diritti di tutti e che fra questi c’è anche la legalizzazione delle unioni. Venne sostituita immediatamente. La sua dichiarazione era troppo, troppo, troppo pericolosa per l’immagine che il centrosinistra voleva dare a quei tempi al paese. Il suo allontanamento suonava come un “noi non mangiamo più i bambini”. Che peccato, che segno di arretratezza culturale.
Da quanti mesi Tremaglia non ci chiama pubblicamente culattoni? Da quanti mesi Buttiglione non ci addita come peccatori da uno schermo televisivo? Quanti giorni dobbiamo aspettare perché il papa ci bastoni ancora? Quanti anni ancora devo attendere per regolarizzare la mia unione col mio Franco, per tutelarlo se mi dovesse succedere qualcosa?
Ogni anno, in questo mese scrivo del gay pride. Quest’anno non me la sento. La mia mente è già alle elezioni del 2006, al referendum per la fecondazione assistita, al nostro matrimonio.

Franco mi ha chiesto se lo porto a visitare la Spagna. Un suo amico d’infanzia si è trasferito là scappando dal suo paesino veneto. Credo sia scappato perché là l’erba è più buona. Noi pure vorremmo essere là, per sposarci. Inizierò a fare più spesso cucina spagnola, tanto per abituarci. Se tento di parlare spagnolo inanello un errore dopo l’altro, dovremo studiarlo entrambi, e poi trovare un lavoro. Io devo anche vedere dove sono i centri di cura per l’AIDS, e trasferirci vicino. Che complicazioni. Non potevano chiedere anche qui il matrimonio? Penso già alla lista di nozze. Adesso capisco perché gli etero hanno tanta fretta di sposarsi in pompa magna, deve essere una cosa divertente.
Intanto ripasso la cucina spagnola.
Tortillas di patata. Un po’ pesante per via che le patate vanno arrostite prima di metterle in frittata. Studiare variante leggera. Usare padella antiaderente. Ricordarsi di aggiungere i peperoni, come fanno a Madrid, che a Franco piacciono tanto.
Paella. Praticamente la stessa cosa del riso basmati che faccio alla moda indiana, a vapore. Usare riso normale, che costa pure di meno. Ricordarsi di aggiungere più cose e sostituire la curcuma con lo zafferano. Tenere dei gamberetti sempre pronti nel freezer, che costano meno di quelli freschi e sono più sicuri.
Poi c’è il gazpacho di almodovariana memoria, mi faccio dare la ricetta da una mia amica che sta in Canada e che lo fa benissimo. Vitamine, fibre, ha tutto con poche calorie, sempre che si elimini il canonico bicchiere d’olio che andrebbe dentro. Ah, il Canada, pare che là facciano tutto meglio. Certo è che fa troppo freddo. Torniamo alla Spagna.
Crema catalana. Ho ancora i contenitori di coccio dove prepararla, ma chissà dove è finito il ferro per caramellare lo zucchero. Userò il saldatore a gas che tanto non faccio più lavori d’idraulica da quando non riesco più a chinarmi.
Trippa alla madrilena, con piedino e testina di vitello, tanto per non avere nostalgia delle cotenne della mia cassoela milanese.
Pesce e patate alla moda delle Canarie. Canarie? Eggià, le Canarie sono spagnole. Chissà tutte quelle coppie che si sono trasferite là per aprire locali gay, chissà che feste avranno fatto alla notizia che le loro imprese sarebbero diventate imprese famigliari.
C’è la famosa Playa del Inglés, meta dei gay europei, dal modaiolo al leather, con locali che restano aperti tutta la notte. Poi c’è la lucha canaria, la lotta canariense, combattuta da aitanti, bruni, pelosi abitanti dell’isola, che si afferrano per l’orlo dei pantaloncini arrotolati e cercano di buttarsi a terra, e in questa lotta mostrano pelose chiappe muscolose. Chissà se qualcuno di questi stava aspettando la possibilità di sposarsi con un altro lottatore, o con qualche turista di passaggio, magari tedesco o inglese.
Non fatemi pensare a cosa diventeranno le Canarie...