Foto ricordo
di Pigi Mazzoli
pigi.mazzoli@libero.it
(pubblicato in "Pride", luglio 2005)

Che bello, quarantamila a sfilare per le vie di Milano. Io faccio parte di quello stereotipo omosessuale del passato, preferisco la musica classica all’assordante rumore della musica da discoteca. Fortunatamente lo striscione degli ORSIitaliani, dietro cui io e Franco abbiamo sfilato, era ai primissimi posti del corteo. I camion, con i loro assordanti impianti sonori, venivano dietro al corteo. Dal loro punto di vista, loro erano il corteo, e noi quelli poco fantasiosi che ancora si ostinano a camminare dietro striscioni. Mentre avanzavamo per le vie del centro ci stupivamo del piacevole silenzio che regnava. Nonostante fossimo tantissimi. C’era spazio per le parole, per i saluti fra vecchi amici che si rincontrano ogni anno. Ed anche coppie che come noi non frequentano nulla di gay se non questa annuale necessità di contarsi e mostrarsi. Ogni tanto si aggirava vorticosa una banda di suonatori col suo zibaldone sonoro, per poi allontanarsi ed andare altrove. Niente applausi, niente pernacchie, niente slogan. Ad un certo punto qualcuno ha tentato di trascinare gli altri cantando “Se telefonando” di Mina, ricordando, con una strizzata d’occhio, che il testo è di Maurizio Costanzo. E che parla di un incontro occasionale, sesso in spiaggia. Tutto il contrario del tema del pride di quest’anno, che erano i PACS. Credo si sia giunti a scippare l’acronimo ai francesi perché tutte le precedenti proposte (matrimoni gay, unioni civili, registro delle coppie...) hanno fatto una brutta fine. Ci riproviamo con un’altra proposta di legge.

Negli stessi giorni in Svizzera un referendum confermava anche da loro le unioni gay, almeno per la pensione e il fisco, ma loro sono “svizzeri” (per antonomasia molto precisi ma poco fantasiosi).
Nulla a che vedere con la Spagna dove si è passati al matrimonio, uguale per tutti. Certo, noi siamo in Italia e dobbiamo arrivare ultimi, sempre che ci si arrivi. Proprio per conoscere meglio la realtà spagnola, e confrontare le nostre istanze con le loro vittorie, il giorno prima, al Village, spazio dell’idroscalo milanese concesso dalla Provincia, è stato organizzato un interessantissimo incontro fra esponenti del movimento gay spagnolo, un professore inglese di diritto, parlamentari italiani, esponenti politici, tutti i rappresentanti dell’Arcigay e dell’Arcilesbica ai massimi livelli, un avvocato di “Giuriste d’Italia”, e Alessandro Cecchi Paone. Così tanti da non trovare spazio nel pur largo divano di velluto rosso e stuccature dorate sistemato in un angolo dello spazio ristorante. Di fronte a queste quindici persone, più una interprete, che si scambiavano il posto e il microfono c’erano venti persone del pubblico. All’incirca la stessa quantità di gente che c’era ai primi gay pride che organizzavamo in piazza della Scala. Concedo che non tutti siano liberi il venerdì pomeriggio alle 18,30. Comunque meno liberi di un sabato pomeriggio, e che l’idroscalo di Milano non sia facilmente raggiungibile, ma la sera stessa, a ballare, c’era il pienone, così m’han detto.
Avete in mente le tre domande da fare al genio della lampada? Comunque le si facciano il genio ci imbroglierà sempre. Quando eravamo in piazza della Scala, tanti anni fa, in pochi, il mio desiderio era una manifestazione piena di gente. Sono stato accontentato, ma non sono completamente felice. Avrei voluto tanta gente anche a quell’incontro, tanto utile, tanto interessante, del pomeriggio precedente. Bravo a chi l’ha organizzato. Un consiglio, per i prossimi anni: dato che giravano in quei giorni i modelli di Colt, farne partecipare un paio anche agli incontri culturali, dandone ovviamente pubblicità, e garantendo ovviamente nudità. Non che si debba fare numero a tutti i costi, ma per portare, con un mezzuccio facile facile, qualche orecchio in più ad ascoltare cose non ovvie.
Chi non è venuto si è perso anche un rinfresco gratuito e insolitamente buono (ammetto d’essermi servito tre volte l’insalata di molluschi, mentre ho tardato per il dolce e ho raggiunto solo l’ultima fetta di una splendida crostata con crema di limone, che abbiamo diviso in quattro con una simpatica coppia bolzanina, che festeggiava i tredici anni insieme).
Come ho detto all’inizio, tra gli oratori c’era Alessandro Cecchi Paone. Non che abbia mai dubitato delle sue capacità professionali ma, per tanti motivi, non ho mai provato una grande simpatia per lui. Sentirlo parlare all’interno del dibattito, ed intervenire sempre con proprietà, me lo ha reso simpatico. Purtroppo è scappato via prima della fine e non siamo riusciti a farci fare una foto con lui. Avremmo potuto ripiegare sull’On. Vittorio Agnoletto o su Luigi Manconi dei DS, o su Franco Grillini, anche lui onorevole e abbastanza famoso, ma per una foto ricordo da far schiattare gli amici avremmo preferito proprio Cecchi Paone, molto più celebre...


Il giorno dopo siamo stati premiati. Ci hanno dato appuntamento al gay pride mio cugino con sua moglie e i loro bambini, abbiamo percorso un tratto assieme. Il caso è che loro sono amici di lunga data proprio di Cecchi Paone e quando l’incontriamo col suo cartello al collo (“Ponzio Pilato si è astenuto” che solo dopo un giorno di riflessioni sono arrivato a capire che dovrebbe essere contrario all’astensione al referendum sulla procreazione assistita) ce lo presentano e ci fanno l’agognata foto ricordo. In realtà non era un’idea tanto originale perché scopriamo poi che molti altri si fanno immortalare assieme. Vuol dire che quel suo non obbligato coming out lo ha reso simpatico ai più. E poi di persona è molto più bello che in foto o in video. Tutti i giornali hanno sottolineato la sua presenza, mettendolo direttamente nell’elenco dei politici presenti. Che voglia lasciare il giornalismo per creare davvero il partito gay? Comunque la cosa che mi fa più felice è di avere dei parenti che vengono con noi in manifestazione. Avrei anche una bella foto di me e Franco coi nostri nipotini mentre percorriamo via Manzoni, fra il gruppo del Guado e il camion delle lesbiche, ma dopo il putifero scatenato dai bambini con due mamme, meglio evitare altri guai.

Tra le pochissime drag queen c’era anche un clone di Jinny, quella di “Strega per amore” (“I dream of Jeannie” prodotto della NBC, dal 1965 al 1970, grazie internet) ed ho subito fotografato il mio Franco accanto a lei, casualmente proprio davanti al Consolato degli Stati Uniti d’America. Ho anche pensato che avremmo ritrovato senz’altro questo genio della lampada su tutti i giornali, anche grazie appunto all’esiguità dei soggetti disponibili. Ed infatti c’era. Scorrendo il giorno dopo la rassegna stampa, abbiamo trovato come al solito le drag, ma duplicate, cioè ognuna di loro è dovuta apparire due o tre volte sulla stampa, perché erano meno di una decina e ne sarebbero servite, alla stampa poco fantasiosa, molte di più. Mi sorge il dubbio che l’anno prossimo i fotografi si porteranno i travestiti da casa per poter vendere foto originali ai giornali.
Oppure si porteranno un po’ di bambini e li spacceranno per figli di coppie lesbiche, che a quanto pare è merce più giornalisticamente appetibile delle piume colorate e della pelle nuda. Lo hanno imparato a loro spese, vedendo le loro foto frizzanti di drag sovraccariche accompagnare articoli in cui si parlava solo di orrenda strumentalizzazione di bambini per propagandare una perversione. O forse queste sono le parole di un ministro e non quelle di un giornale, non so, non ricordo, confondo spesso le cose di poco valore.