Esiste un orgasmo di culo?
di Pigi Mazzoli
Pubblicato su "Pride", agosto 2000

Troppo spesso un culo che funziona a senso unico nasconde la paura di perdere la propria mascolinità. Abbandonàti i ruoli stereotipati esiste un percorso per capire noi stessi che parte dalla scoperta del nostro corpo.

Qual'è il gruppo gay più maschile per antonomasia? I leather. E quale il peggior insulto per un leather? Leather Parisi! Non neghiamolo, da sempre la passività è più un'infamia che una virtù anche tra di noi. Mai letto di un annuncio "effemminato ma amo vestirmi da carpentiere in privato" bensì "insospettabile ma amo travestirmi da donna in privato". Non credo sia solo un mio sentire ma femminilità, passività, sottomissione sono visti più come difetti, come limiti, mentre "sai che vedendoti ho creduto tu fossi etero" diventa il più bel complimento. Il contributo di un film come In & out è quello di descrivere con ironia liberatoria queste paure, ascrivendole al dilemma omo/etero ma in realtà vissute da molti nella dicotomia checca/macho. Prove di voce e di portamento davanti allo specchio parallelamente al nostro percorso di accettazione e di scoperta. Quando a quattordici anni dichiarai a scuola la totale ammirazione e simpatia per Paolo, un compagno, tutti (eravamo in nove in classe in un istituto milanese retto da suore) mi spiegarono che allora ero omosessuale (molto corretti) e che cioè amavo farmi inculare dagli eterosessuali. Io invece volevo conoscere altri come me ma loro mi informarono che sarebbe stato difficile perché probabilmente in tutta Milano saremmo stati tre o quattro. Ero un ragazzino tonto ma gran lettore e ricordai di aver letto quella parola sulla copertina di un libro: corsi alla libreria e con imbarazzo comprai il famigerato Psicanalisi dell'omosessualità di Bergler (vedi Pride, Dicembre 1999, pag. 15) dove si diceva sempre che eravamo pochi, ma in più che ero un masochista psichico. Paolo continuava a non farsi toccare ma accettò di prendermi a calci. Nonostante Bergler non trovai soddisfacente questo genere di contatto e continuai nella ricerca di un mio simile. E intanto facevo "ginnastica", visto che dovevo prenderlo in culo mi allenai infilandomi gli oggetti più disparati che mi capitavano alla mano. Effettivamente era piacevole. Passai al sesso pratico a diciotto anni, subito dopo partii per il sud a fare l'animatore turistico e per tre anni trovai quasi solo persone che maltrattavano la mia passività, mi ruolizzavano, mi trattavano da donna mancata, con disprezzo. Loro non si facevano scopare. Iniziai a vivere con sofferenza, anche fisica, la mia passività e mi convinsi di essere esclusivamente attivo. Dopo questi traumi iniziali (anche perché non mi volevo identificare col binomio "passivo uguale effemminato" che mi avevano inculcato da piccolo) ci ho messo anni a fare pace col piacere che il mio culo mi può dare. Accadde a Londra, conobbi Terry, speravo di scoparlo e invece lo fece lui, con tali attenzione, dolcezza e rispetto del mio corpo che non mi sentii violentato nonostante la durata e le dimensioni. Anzi! Scoprii per la prima volta l'abbandono al desiderio senza la paura del danno fisiologico. Inaspettatamente il culo si apriva senza sforzo e tutte le sensazioni erano piacevoli. Il bisogno, che arrivava ad un certo punto, di smettere per correre in bagno era diventato invece una sensazione totalizzante, della stessa intensità che può avere un'eiaculazione, prolungata nel tempo. Lo battezzai ironicamente "orgasmo di culo". E, come le donne, ora potevo provare orgasmi multipli. Non avevo deciso se era parte di me o se era solo un'incidente di percorso da tenere celato. Iniziai una inconscia schizofrenia sessuale: c'era il Pigi di sempre, quello attivo, che inculava con trasporto affettivo o col piacere della conquista, come un vero maschio, e il Pigi passivo alla ricerca dell'orgasmo di culo senza complicazioni sentimentali. Ricercavo persone abili e attente al mio piacere, magari ben dotate, meglio se instancabili. A volte funzionava ed era bellissimo e a volte no, nessun piacere intenso. Ci doveva essere qualcosa d'altro oltre la tecnica e alla forma di un cazzo. Anni di esperimenti mi hanno fatto capire che, sì, il culo può far godere, ma che bisogna desiderarlo. Mi sono spiegato finalmente come mai alcuni siano soddisfatti solo da maldestre scomode inculate in dark o pinete, e del perché un cazzo piccolo a volte fa male mentre uno grosso ci spalanca il culo senza problemi. La chiave è il desiderio.
La prima volta, per molti, essere penetrati significa dolore e l'irrinunciabile bisogno di andare a defecare. Alcuni quasi si giustificano ascrivendo il loro ruolo passivo ad un dovere coniugale. Ma se la penetrazione continua ad essere praticata un motivo ci sarà. Non riesco a farmi una ragione che gli attivi esclusivi siano fisiologicamente diversi da me. Nonostante ripetuti tentativi assicurano di provare solo dolore e disagio. Quando dicono di essere "stretti" faccio loro notare le dimensioni di ciò che normalmente esce dal loro culo. Ma non c'è nulla da fare, se senti la penetrazione come un'invasione, una violenza, il culo non si apre. E quando non si vuole aprire non c'è nulla da fare fisicamente, ma si è all'inizio di un possibile cammino alla scoperta del proprio corpo. Io porto il parallelo col cibo: tu apprezzi la buona cucina e ti ingozzi di cibi dannosissimi, invece il gusto si è evoluto nell'uomo per garantire la sopravvivenza. Così il desiderio di penetrare serve alla continuazione della specie e la sensibilità anale a liberarti delle feci: non ti turba desiderare di inculare uno (sterile) uomo mentre ti sconvolge accettare la sensibilità anale.
Sempre dando per scontato che, sì, è bello stantuffare dentro ad un culo, ma che il massimo è eiaculare all'interno: altro regalo del nostro fallito istinto di perpetuarci. Iniziando ad usare il preservativo venne a mancare questa vietatissima soddisfazione di depositare o farsi depositare dello sperma all'interno: pensavo che fosse quello strato di caucciù a togliere sensibilità e quindi piacere, ma un giorno ne persi dentro uno e non me ne accorsi affatto. Eiaculai dentro senza saperlo. Capii allora che quel pezzo di gomma non cambiava la mia sensibilità ma che era invece l'idea di non "fecondare" che toglieva il piacere. Ora amo il preservativo, che libera da tutte le ansie di contagio che hanno sempre accompagnato il sesso. Conoscere a fondo il nostro corpo, indagare nei nostri istinti, scavare nei condizionamenti culturali, portare a galla i nostri fantasmi: costruire la nostra sessualità, che a nessuno stereotipo può assomigliare. Nell'ottocento "scoprirono" che un nervo del pene, per un'anomalia congenita, in alcuni si trovava spostato verso l'intestino e che questa "deviata" sensibilità portava all'omosessualità: mai esistito quel nervo se non nella mente di chi doveva ad ogni costo cercare una diversità congenita per poter dimostrare che godere con il culo è una malattia (e quindi da curare). Invece il culo può regalare piacere a tutti. Grossolanamente divido la sensibilità in due: quella epidermica dell'ano che rileva il passaggio e quella dell'intestino che sente il riempimento e i movimenti all'interno. Forme, dimensioni e tecniche creano possibilità combinatorie infinite ma è il cervello che elabora e ci fa decidere se correre al cesso o se urlare di piacere. Io dovevo ricongiungere la sensibilità anale con la mia parte passiva. Alla fine ho capito che il sesso come l'amore si fa in due (o più) e non si recita una parte, quella che vorremmo noi, o che vorrebbero gli altri.