Mendelssohn Firenze
Ultimo aggiornamento 29 aprile 2009
Sulla strada maestra di Roma vi è comunque Firenze, che gli offre motivi d’incanto non meno
intensi di quelli di Venezia. Un luogo, ancora una volta, visto con gli occhi del classicista, attratto in
egual misura dalla generosità del paesaggio, nel quale è tangibile la mano operosa dell’uomo, che dai
tesori dell’arte. “Un’ora prima di arrivare a Firenze il vetturino mi ha detto che solo allora aveva
inizio il bel paese; ed è vero che il bel paese d’Italia comincia soltanto da questa regione. Vi sono
ville su tutte le alture, vecchie mura, sopra le mura rose e aloe, sopra i fiori grappoli d’uva, sopra i
rampicanti s’intravedono gli olivi e la cima dei cipressi e dei pini, e il tutto stagliato nettamente
contro il cielo. Oltre a ciò visi leggiadri e angolosi, e vita dappertutto nelle strade e, in lontananza
nella valle, l’azzurro della città” (lettera alla famiglia del 23 ottobre 1830). E qualche giorno più
tardi, il 30 ottobre: “Dopo la calda pioggia di ieri l’aria è così piacevolmente tiepida che mi siedo
presso la finestra aperta e scrivo; e non fa male davvero il vedere la gente che gira per le strade con
canestri di fiori odorosi e offre violette fresche, rose e garofani. Ieri l’altro ero stanco di ammirare
quadri, statue, vasi e di visitare musei, e pensai quindi di andare a passeggio per tutto il pomeriggio.
Mi comprai un mazzolino di narcisi e di eliotropi e salii sulla collina in mezzo ai vigneti. Fu una
deliziosa passeggiata e mi sentii ristorato e di buon umore vedendomi intorno una natura festante, e
mille lieti pensieri mi frullavano pel capo. Giunsi così a una palazzina di campagna, Bellosguardo,
dove si vede dinnanzi a sé tutta Firenze con la sua ampia vallata; mi consolai tutto alla vista di questa
ricca città e delle sue fitte torri e de’ suoi magnifici palazzi, ma più ancora delle innumerevoli e
bianche ville che coprono tutti i monti e tutte le colline fin dove arriva l’occhio. Quando presi il
canocchiale e spinsi lo sguardo attraverso le nebbie turchine lungo la vallata, questa conca mi apparve
tutta seminata di bianche ville e di fitti punti chiari, e mi sentii benissimo e come in casa mia. Poi salii
sulla vetta più alta del colle, sul quale vi era una torre; quando vi arrivai trovai della gente occupata
a fare del vino, ad asciugare grappoli d’uva e a rattoppare tini. Era la torre di Galileo, ov’egli era
solito fare le sue osservazioni e le sue scoperte. Di lassù tutto all’intorno si godeva una vista estesissima,
e la ragazza che mi condusse in cima alla torre mi raccontava nel suo dialetto una quantità di storielle
che io però capivo poco. Mi offrì poi un grappolo della sua uva dolce e secca, che mangiai con
disinvoltura”.
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