A Fanny Hensel e Rebecca Diriclet a Berlino
Napoli, 28 Maggio 1831.

Care sorelle! Dacché il diario è diventato troppo brutto e meschino, voglio narrarvi almeno la mia vita in abrégé. Sappiate dunque che venerdì, 20 maggio, feci colazione a Napoli, in corpore; cioè, mangiai frutti e altre simili cose, e in corpore vuol dire: la nostra compagnia di viaggio alle isole, la quale era composta di Ed. Bendemann, T. Hildebrant, Carl Sohn e Felix Mendelssohn Bartholdy.
Il mio fardello non era molto pesante ed oltre alle poesie di Goethe e a tre camicie non conteneva nulla d'importante. Noi eravamo pigiati in una carrozza da nolo e attraversammo la grotta di Posillipo diretti a Pozzuoli.
La via corre lungo il mare ed è la più piacevole che si possa vedere.
Epperò fa più male ancora il vedere quella folla orribile di ciechi , di storpii , di mendicanti, di avanzi di galera, insomma di miserabili di tutte le qualità, che si radunano colà in mezzo alla festa della natura.
Io mi collocai tranquillo presso il porto e disegnavo, mentre gli altri si affannavano a vedere il tempio di Serapide, il teatro, le fontane bianche e i crateri spenti, che avevo già veduto a sufficienza tre volte.
Poi caricammo sugli asini, come i giovani patriarchi o i nomadi , tutti i nostri beni ed averi, mantelli, fardelli, libri, mappe, salimmo noi pure in sella e girammo intorno al golfo di Bàja verso il lago di Averno, dove bisogna comprare i pesci pel proprio desinare, indi c'incamminammo sul monte Terso Cuma (confronta il viandante di Goethe) ed arrivammo cosi sotto a Baja, dove si mangiò e si riposò. Poi si visita- rono anche le rovine dei templi, le antiche terme e simili, e così si fece sera prima di fare la traversata. Alle 9 arrivammo alla cittadina d'Ischia e nell'unico albergo tutti i posti erano occupati, si che deliberammo di recarci fino da Don Tommaso, due ore di strada, che noi percorremmo in 5/4; — faceva un fresco meraviglioso; in mezzo a tutte le viti e agli alberi di fico ed ai cespugli si trovano innumerevoli insetti vermigli che si lasciano acchiappare; e quando finalmente arrivammo un po' stanchi dal nostro Don verso le undici, trovammo tutti ancora desti, le camere linde, frutti freschi, per cantiniere un diacono affabile e restammo seduti comodamente fino a mezzanotte in faccia ad una carrata di ciliege.
Ma all'indomani il tempo era pessimo e pioveva a catinelle.
Sull'Epomeo non si poteva salire, e siccome non potevamo conversare molto fra di noi (non ci si riusciva, Dio sa perchè), la cosa minacciava di diventar noiosa, se Don Tommaso non avesse avuto il suo cortile dei polli che è il più grazioso che si possa avere in Europa. Dinnanzi alla porta sta un gigantesco ed ombroso albero d'aranci con molti frutti maturi, sotto i cui rami la scala conduce ai locali d'abitazione.
Sovra ciascuno dei bianchi scalini di pietra v' è un gran vaso da fiori, ed il vestibolo superiore è composto d'un largo portico aperto, dove da un'arcata si può veder fuori tutto il cortile coll' albero d'aranci, i tetti di paglia, le botti di vino ed i boccali, gli asini e i pavoni. Lo sfondo davanti non è meno bello; sta sotto l'arco murato un albero di fichi d'india cosi lussureggiante, che lo si deve legare stretto al muro con funicelle. Di dietro poi lo sfondo è formato dai vigneti colle ville e dalle alture dell' Epomeo. Sotto l'arco eravamo riparati dalla pioggia; là ci mettemmo tutti e quattro a sedere e là copiammo il cortile durante tutta quella simpatica giornata, come meglio si poteva. Non mi trovavo a disagio e disegnavo sempre insieme e credo d'avere anche un poco profittato. Alla notte fuvvi uno spaventoso temporale, ed io osservai stando a letto che il rombo del tuono sull'Epomeo perdura per lunghissimo tempo, come sul lago dei quattro Cantoni od anche di più.
La mattina successiva, domenica, sembrava che riapparisse il sereno.
Andammo a Foria, vedemmo il popolo ne' suoi variopinti costumi, che si recava in duomo; le donne avevano i loro famosi veli di mussolina posti in capo, gli uomini stavano sulla piazza della chiesa e coi loro berretti vermigli della festa cianciavano, e cosi attraversando quei villaggi in festa c'incaminammo a poco a poco su per il monte. E' un gran vulcano squarciato, pieno di crepacci, d' incavature, di scoscendimenti e di caverne dirupate. Le incavature erano state utilizzate ad uso cantine di vino e riempite di grandi barili; sul pendio vi sono dappertutto vigneti con alberi di fichi e gelsi; sulle rocce scoscese cresce il grano e si raccolgono le messi più volte in un anno; le vie montuose sono piene d'edera e coperte d'innumerevoli fiori variopinti e d'erba; e dove si trova ancora qualche posto, vi crescono subito giovani alberi di veri castagni che fanno una bellissima ombra.
Là è situato l'ultimo villaggio, Fontana, in mezzo al verde e fra le piante. Ma il cielo si coperse; si fece buio, e quando salimmo più in alto, presso la più eccelsa vetta del monte, era diventato tutto nuvolo; i vapori danzavano, e sebbene le rupi smerlate, il telegrafo e la croce si distinguessero abbastanza bene tra le nubi, non potemmo goder nulla della vista. Intanto cominciò a piovere; non si poteva rimaner lassù ed aspettare come sul Rigi, e quindi dovemmo abbandonare l'Epomeo senza aver fatta la sua conoscenza e scendemmo a corsa e a salti sotto la pioggia; credo che non abbiamo impiegata un' ora.
Il giorno dopo andammo a Capri. Quella gita ha già in sé qualche cosa dell'orientale, colle vampe infuocate, che si riflettono dalle bianche pareti delle roccie, colle palme e colle rotonde cupole delle chiese, che hanno l'aspetto di moschee. Lo scirocco era abbruciante e mi rendeva inetto a qualunque godimento; poiché il salire sotto questo solleone 537 scalini e ridiscendere poi sino ad Anacapri, é una vera fatica da cavallo. Ma gli è vero, che il mare si presenta ammirabilmente bello sotto il nudo scoglio e frammezzo a smerli bizzarri.
Ma debbo anzitutto narrarvi della grotta azzurra; non tutti la conoscono, perchè ci si entra soltanto col tempo calmo o nuotando. Dove gli scogli giacciono a picco sul mare e forse sono ancora alti sott'acqua tanto quanto di sopra, là s'è formato un antro immenso, in modo però che lungo tutto il circuito dell'antro le rocce riposano sul mare in tutta la loro estensione o piuttosto vi sono state immerse e di là soltanto salgono fino alla volta della grotta; il mare riempie tutto il pavimento della caverna, e questa ha il suo ingresso sotto l'acqua; solo una piccola parte dell'ingresso sporge fuori dell'acqua, e si entra attraverso a quel piccolo pertugio con una barchetta, sul cui fondo bisogna distendersi. Una volta dentro, ci si trova sotto la volta della prodigiosa grotta, e si può remare tutto all'intorno, come sotto ad una cupola.
La luce del sole entra attraverso l'apertura sotto l'acqua, si rifrange attraverso l'acqua verde del mare, e ne escono magiche apparizioni.
Tutti quegli alti scogli si tingono di una luce crepuscolare azzurra e verdognola, press' a poco come al chiaro di luna; però si vedono bene tutti gli angoli e le profondità; il mare è illuminato e rischiarato da banda a banda dalla luce del sole, cosi che la nera barchetta si culla sul piano risplendente; il colore è azzurro del più abbagliante che abbia mai visto, senza ombre, senza oscurità, come una lastra del più limpido vetro smerigliato; e quando il sole traspare, si vede assai chiaramente tutto ciò che accade sott'acqua, ed il mare ci si presenta con tutte le sue creature. Là si vedono presso gli scogli i coralli ed i polipi; giù in fondo si incontrano pesci di tutte le qualità che nuotano via l'uno dopo l'altro; gli scogli quanto più son vicini al- l'acqua tanto più diventano oscuri, e alla fine là dove sono quasi a contatto
coll'acqua, sono neri, e più in giù si vede ancora l'acqua cristallina coi granchi, coi pesci e con tutti gli altri animali marini.
Inoltre ogni colpo di remo echeggia meravigliosamente nella grotta, e quando si gira attorno alle pareti, essa presenta nuovi aspetti. Vorrei che la poteste vedere, poiché essa è stranamente incantevole. Quando ci si volge verso l'apertura, per la quale si è entrati, s'intravvede la luce giallo-rossa del giorno, ma non penetra al di là di due passi, e così si resta affatto isolati sul mare sotto agli scogli con quella luce singolare del sole ; fa l'effetto di vivere un poco sott'acqua.
Poi ci facemmo condurre a Procida, dove le donne vestono alla greca, ma non acquistano per ciò più leggiadro aspetto; curiosi visini sbirciavano dalle finestre; due gesuiti coi loro abiti neri e coi volti oscuri sedevano sotto uno splendido pergolato, si davano bel tempo e formavano una bella macchietta.
Poi ancora in mare per Pozzuoli e attraversata la grotta di Posilipo tornammo a casa......