“Immaginatevi una piccola casa in piazza di Spagna al n.5, illuminata tutto il giorno dal sole: una camera al primo piano, dove c’è un buon pianoforte di Vienna [...] Alla mattina, quando sono nella mia camera e faccio colazione, mi appare il sole splendido (vedete come i poeti mi hanno guastato!) e ciò produce in me un senso infinitamente piacevole perché siamo già alla fine dell’autunno, e chi può pretendere ancora da noi il caldo, il cielo sereno e i grappoli d’uva e i fiori? Dopo colazione lavoro un poco: suono e canto e compongo fin verso mezzogiorno. Poi mi resta del tempo per godere, come d’obbligo, tutto il fascino di Roma; vado adagio assai in questo lavoro e ogni giorno scelgo qualche altra cosa di quanto appartiene alla storia del mondo [...] Non vorrei trascurare il mio lavoro mattutino e tralasciare continuamente di scrivere, ma mi dico: “Eppure tu devi ben vedere il Vaticano”. Quando poi sono là non vorrei andarmene più via, e così ciascuna di queste mie occupazioni mi dà una purissima gioia, e io passo di piacere in piacere”. Segue poi un confronto significativo: “Se Venezia col suo passato mi è parsa come un sepolcro, dove i palazzi oggi diroccati e il durevole ricordo dello splendore d’un tempo mi hanno quasi rattristato e reso di cattivo umore, il passato di Roma mi appare come la storia stessa; i suoi monumenti elevano l’animo, rendono solenni e allo stesso tempo sereni. Procura una piacevole sensazione il pensiero che gli uomini possano produrre ancora qualcosa là dove dopo mille anni è ancora possibile ritemprarsi e divenire più forti” (lettera alla famiglia dell’8 novembre 1830).