Propedeutica della libertà sessuale.
di Pigi Mazzoli
pigi.mazzoli@libero.it
(pubblicato in "Pride", maggio 2009)


In una società in cui la vecchiaia non è solitamente un pregio, ma uno scomodo handicap con cui convivere, vorrei portarvi i miei trentacinque anni vissuti da gay, camuffando, con una bella parolona nel titolo, quelle che sono solo riflessioni fatte osservando quei cambiamenti che ho vissuto in prima persona.

All'epoca in cui avere il telefono in casa era un costoso lusso, i locali gay erano forse dieci in tutta Italia ed erano di solito frequentati dai gay più vistosi, da marchette e da anziani signori. Quindi la quasi totalità delle conoscenze dovevano avvenire tramite annunci anonimi con risposte via fermo posta, oppure incontrando direttamente nei luoghi in cui si consumava: parchi bui, gabinetti pubblici, cinema di quarta visione. Ma a volte accadeva anche in strada, in spiaggia, ovunque, pur di aver già sviluppato quella peculiare capacità di riconoscerci fra di noi. Per cui capitava di incrociare gli occhi di un marito che era al mercato con la moglie, capire l'interesse, aspettare anche mezz'ora nello stesso esatto posto, per vederlo tornare questa volta da solo. E ti portava in una cantina, o dietro un muro di un giardino abbandonato, o in un albergo a ore per dieci, venti minuti di sesso. Si erano liberati con una scusa della moglie, o dei figli, ed erano corsi dalla loro conquista clandestina. Detto ora sembra tanto divertente, ma all'epoca era un obbligato ripiego ad amore e sesso desiderati. Qualcuno si organizzava bene, per altri era una insopportabile limitazione ai desideri.
Visto dai miei occhi inesperti il mondo gay si divideva in gay sopra i trent'anni, con cui ci si potevano fare le seghe in un cesso, in rigoroso silenzio, e quelli giovani come me che desideravano conoscere le persone, parlarci, andarci in vacanza assieme, vivere assieme. Non avevo capito che anche i gay trentenni lo avevano forse desiderato all'inizio, ma si erano ormai abituati al poco che era permesso.
In quegli anni accadde che uccisero Pasolini, e per la prima volta fu tutto un parlare di omosessualità su stampa e televisione. La signora il cui marito andava tutte le sere al parco a prendere una boccata d'aria iniziò ad avere dubbi sulla reale attività del coniuge. La gente dei quartieri iniziava a chiedere che i parchi e giardini fossero illuminati e venissero eliminati i cespugli fitti. Estirparono i vespasiani. Non era più possibile vivere nascostamente e senza problemi la propria sessualità: o si smetteva o si cambiavano abitudini. Per me era meglio: basta rimorchi notturni nei parchi con ronde di picchiatori fascisti, basta seghe collettive in cessi maleodoranti, noi avevamo la certezza che presto, molto presto, avremmo avuto tutte le cose che aveva il nostro compagno di scuola etero, o le nostre sorelle, fratelli...
Ma quelli che si erano già abituati a quel sesso fatto in clandestinità si arrabbiarono moltissimo, perché noi, i giovani che lottavano per la libertà, avevamo rovinato loro i giochi, dovevano nascondersi ancora di più. O uscire allo scoperto.
Fui certo che noi e gli "anziani" eravamo all'origine la stessa cosa, il giorno che, come operatore del telefono gay del F.U.O.R.I!, ricevetti una telefonata piena di amore e incitamento alla libertà di un signore. "Io non ho mai dormito con un uomo, in tutta la mia vita. Ma voi potrete farlo, bravi, bravi!" diceva, e ci esortava a lottare e conquistare le cose che ci erano dovute.

Altro che telefono fisso! Ora ho anche due portatili e una connessione ADSL e posso dormire col mio uomo. Ma non tutti possono ancora farlo. E neppure tutti lo vogliono: taluni preferiscono frequentare finti gabinetti ricostruiti nei locali gay, avere incontri silenziosi e darsi differenti identità in differenti annunci on-line alla ricerca di sesso. Io non sono ancora felice, non per me, per via di quelli che vorrebbero vivere come vogliono il loro amore, ma ancora non possono perché vivono nel piccolo paese dove la gente mormora, perché sono ancora a carico dei genitori e questi sono bigotti, perché gli hanno insegnato a temere dio e hanno paura a peccare (o meglio sarebbe dire che il senso del peccato toglie loro il piacere di vivere le cose che desiderano). Ma anche per coloro che vivono in Stati con culture e leggi repressive. Vorrei che a tutti fosse concessa la libertà di amare, a modo loro.

Quand'ero giovane c'era già la Gay Pride Parade (ai tempi di Stonewall io avevo dodici anni) e la sua fama arrivava fino a noi con la sua aura di libertà. Dopo un po' iniziammo anche noi, prima timidamente e poi con successo crescente, fino alla lotta fra i vari gruppi gay per chi avere la più importante nella sua città. Quanta strada. Ancora i diritti ottenuti sono pochi, se non quello di essere visibili, ma credo che ogni Gay Pride serve anche a quelli che sapranno di noi, che amiamo come loro, dai loro giornali (o più da internet, perché in certi Stati la repressione sessuale va a braccetto con la censura dell'informazione) e che spereranno anche loro, un giorno, di poter dormire a letto con un uomo.