L'acqua cheta...
di Pigi Mazzoli
Pubblicato su "Pride", agosto 2001

Essere visibili per far parte della società ed influenzarne i cambiamenti. Non si cambia la morale per legge ma è la morale che evolvendosi fa cambiare le leggi. Senza voler fare la rivoluzione, se non si può, ma sfiancando il nemico.

Mi ricordo trent'anni fa, io andavo in edicola, non quella sotto casa, a comprare Homo, una rivista gay, forse la prima, ancora in bianco e nero, scontando l'occhiata di condanna e commiserazione dell'edicolante. La carta era ruvida, c'erano i nudi ingenui di ragazzi così così e articoli strani, come il consiglio di sciogliere una perla in un bicchiere d'aceto per affascinare un uomo al primo appuntamento. Ma in quel mondo che non osava sperare in una rivoluzione io ho mosso i primi passi. C'era una sorta di rassegnazione nella segretezza e nella persecuzione come destino ineluttabile. In America stavano iniziando a ribellarsi ma qui non lo si sapeva neppure.
Quelle pagine ingenue però mi avevano fatto capire che non ero solo, che probabilmente ce n'erano altri come me, addirittura nella mia città e che un giorno, se fossi stato fortunato, ne avrei incontrato uno e ci saremmo innamorati. Nel frattempo mi innamoravo dei miei compagni di classe, dei più carini, e cercavo di portarmeli a letto, fallendo sempre. Ma a diciassette anni uno di questi mi disse: "Ti porto io, una sera, conosco un posto di omosessuali". Beh, era finito l'isolamento! Fu così che la sera ci vedemmo in via Ciovassino ed entrammo in una porticina segnalata solo da una lampadina rossa penzolante sulla facciata buia. Dentro c'erano una quarantina di persone, per lo più giovani. Oggi scriveremmo trasgender (ma diremmo checche), in realtà erano ragazzi con molti capi d'abbigliamento femminili, le movenze femminili, le voci femminili. Uno mi si avvinghiò addosso, il tempo di ballare una decina di lenti, cercava la mia bocca ma ebbe solo il mio orecchio da leccare. Aveva trent'anni, era sposato, voleva fare sesso con me e la sua voce era... femminile! Ero sconvolto e schifato. Quando riuscii a guadagnare l'uscita, con la scusa di dover rientrare presto, ero di nuovo solo e disperato. Se quelli erano gli omosessuali io allora non ero uno di loro. Allora cosa ero?
Ancora solitudine. Poi su di un giornale la notizia, fra il serio e l'incredulo, come se si trattasse di una bizzaria dell'animo umano, dell'esistenza del Fuori! con tanto di indirizzo: corso di Porta Vigentina 15/A. Con la forza della disperazione (trovare un uomo!) volli riprovare, magari erano omosessuali diversi. In fondo Pasolini era diverso da Paolo Poli, anche se non mi piacevano entrambi. Il mio mito era Helmut Berger che "stava" con Luchino Visconti. Erano gli unici omosessuali di cui fossi venuto a conoscenza, e il bell'attore biondo mi piaceva proprio, e poi uno su quattro era già molto per darmi la speranza di trovare anch'io il mio principe azzurro. Anche se, non so come, non so chi me lo avesse detto, si era formata in me l'idea che per trovare un amore avrei dovuto essere o ricco o bello. Perché i ricchi pagano i belli per fare all'amore. Non ero né ricco né bello ma andai al Fuori! ugualmente. E lì feci piazza pulita di tutte le mie paure e credenze. E inizia ad accettare gli omosessuali effemminati. Di più, imparai a scheccare anch'io, divertendomi molto.
Io avevo cercato di dire ai miei genitori, quando avevo quattordici anni, che ero omosessuale, ma non avevo le parole. Ingenuamente feci trovare loro le riviste Homo aperte in camera mia. Non avevo altro modo. Fu un coming out silenzioso, silenziosissimo anche da parte loro (pensarono fosse una fase evolutiva della mia adolescenza e per non traumatizzarmi non ne parlarono mai, temevano di darmi delle pericolose conferme se solo avessero accennato alla cosa). Solo ora che ero al Fuori! riuscivo a capire cosa fosse l'omosessualità ed avevo la certezza di esserlo anch'io. Feci un secondo coming out in famiglia, questa volta non più silenzioso, e a scuola, coi parenti, con gli amici. Pensavo che se non avessi spiegato cosa fossi non mi avrebbero potuto capire. Nonostante il mio entusiasmo fu abbastanza disastroso ma non mi sono mai pentito, era necessario, per me e per tutti loro. Solo che i tempi erano diversi e bisognava rimboccarsi le maniche e spiegare per ore e per giorni...
Tempi epici ma faticosissimi, quasi eroici. Per darvi il senso del cambiamento, il commento che mia madre fece al mio secondo coming out fu: "Finirai ammazzato da una arabo che ti sarai portato a casa per fare del sesso e che lo farà per derubarti". Leggeva i giornali, la mamma, e i giornali parlavano d'omosessualità solo nella cronaca nera. Mentre il mio babbo mi disse: "Come omosessuale non farai mai carriera, perché io li ho visti quelli così negli uffici, sono derisi da tutti...". Ma solo dieci anni dopo avvenne questa scenetta domestica. A tavola, mio padre: "A te che piace Visconti e la Callas, devi prendere quel libro appena uscito in cui parlano del loro amore", mia madre sbotta: "Ma cosa dici, Visconti era un Gay!". E al quel punto io e mia madre a spiegare al babbo di tutti quelli di cui non si era mai accorto. L'altro giorno spiegavo loro, sempre a tavola, vero focolare domestico della nostra epoca, del famoso giornalista televisivo che sta col giovane presentatore ma si è sposato la famosa giornalista lesbica per copertura ecc. ecc. Nessuna sorpresa, nessuna incredulità. Non ho dovuto portare prove ed argomentazioni. Perché negli anni hanno conosciuto i miei amici (giornalisti, docenti universitari, attori, cantanti...) e ora trovano che tutto sia naturale. Che tra i miei amici ci fossero operai e impiegati, commessi e studenti non faceva particolarmente impressione, lo davano per scontato. Quello che stupiva e che faceva riflettere è che tra gli omosessuali ci fossero persone che riuscivano a fare carriera o che arrivavano alla fama. Lui che aveva lavorato per quarant'anni nel mondo della moda senza accorgersi di nulla, ora mi chiede di una nostra parente, un po' strana, se sia lesbica. In mezzo ci sono stati tutti quelli che sono riusciti, senza nascondere la propria omosessualità, a finire su di un giornale ma non più nella cronaca nera.
Non ci sarebbe stata arte oratoria capace di fargli capire qualcosa, quando avevo diciotto anni. Ci voleva il tempo che sottilmente gli avrebbe fatto cambiare punto di vista. Il mio babbo, che le delusioni del tempo lo hanno spostato inconsapevolmente a destra, lui che crede ancora che le bombe le mettono gli anarchici, ora ha inconsapevolmente cambiato idea sugli omosessuali e vedrebbe naturale votare per le unioni civili gay. Trent'anni, anche vent'anni fa non lo avrei mai immaginato. Allora mi supplicava di presentare il mio fidanzato dicendo "il mio collega di lavoro" per salvare le apparenze, adesso non mi chiede ancora di sua iniziativa come sia andato il Gay Pride ma almeno ascolta interessato il mio racconto al ritorno dalla gioiosa sfilata. E siamo appena stati in vacanza insieme con loro, io e il mio fidanzato. Noi dobbiamo avere la pazienza di portare con la nostra visibilità, con il nostro lavoro e con la nostra cultura la società ad accettare e capire quello che siamo, non semplicemente a tollerare che ci siamo. E allora verranno tutti i diritti che, giustamente, ci aspettiamo. E se qualcuno proprio non riuscirà a capirci, vedendoci ogni anno in 50.000 scendere gioiosi e senza vergogna in piazza, si abituerà almeno alla nostra presenza. Io non sputerei su questa accettazione, anche se ora desidererei di più, perché ricordo che trent'anni fa l'avrei vista come una meta sognata.