I cinque vizi capitali.
di Pigi Mazzoli
Pubblicato su "Pride", gennaio 2001

Per un laico ha senso ragionare in termini di peccato? Quando le "leggi di dio" non sono le leggi degli uomini. L'unico vero peccato è vivere infelici senza saper cogliere le cose meravigliose che la vita ci offre.

Ma non erano sette i vizi capitali? Spieghiamoci. Aiutiamoci col dizionario: vizio è la "disposizione abituale al male, l'acquiescenza continua a una o molte basse passioni dell'animo". Dove acquiescenza è "accettare la volontà altrui, spesso dannosa". E si citano i sette vizi, o peccati, capitali. Ma come considerare un vizio, un peccato la gola e la lussuria? Iniziano i guai, qualcuno ci vuole dire cosa ci fa bene e cosa male. Chi stabilisce quando una passione sia "bassa" e quando "alta"? Se la mettiamo su questo piano la penetrazione è un "basso istinto" e il desiderio di fare le pompe è "alto". Tutta una questione di punti di vista. Secondo me i vizi sono al massimo cinque. Gola e lussuria sono sicuramente delle virtù.

La gola è "l'avidità di bevande e cibi squisiti" e mi sembra che rappresenti invece una manchevolezza il non saper apprezzare la buona cucina, i sapori naturali, tutto quello che le nostre capacità olfattive e gustative ci ha fatto elaborare nella nostra tradizione. Per la teologia la gola è addirittura "desiderio disordinato di piacere materiale": quindi per chi come me ha una fornita libreria di ricettari, per chi segue pedissequamente le guide culinarie, per chi metodicamente insegue i sapori e gli aromi deliziosi che rappresentano questo "piacere materiale" non dovrebbe essere affatto in peccato, perché nulla di disordinato c'è in questa ricerca, bensì una cura ed un'attenzione sistematica, quasi una religione. Deve essere un caso di scollamento tra quella che è la nostra cultura e quello che insegna la dottrina cristiana.

Vediamo la lussuria. Sempre dal dizionario è "il desiderio e godimento disordinato del piacere carnale". Ahi ahi. Sempre disordinato. Ma quale ordine? Cosa si intende? Come godere ordinatamente ma non ordinariamente? Vediamo il contrario: castità. Non ci aiuta molto a capire, la castità è la mancanza, non l'ordine. Vediamo coi sinonimi. "Lascivia: tendenza alla sensualità". Cerchiamo sensualità: "che concerne la soddisfazione dei sensi". Altra sinonimo di lussuria è "atto impudico" ed allora cerchiamo "impudicizia": che offende il pudore. Ma cos'è il pudore: "sentimento di avversione verso cose che appaiono oscene e disoneste". Tutto sta nel definire cosa sia osceno. "Osceno: che offende gravemente il senso del pudore"
Siamo in un circolo chiuso, si vede che non è ben chiaro neppure a loro cosa sia questa lussuria.
Ci deve bastare quel "disordinato" trovato all'inizio per essere cassati in blocco. L'unico amore è quello ordinato, quello che si lascia ordinare, codificare, che si sottomette alle loro leggi.
Come italiano laico ho certamente dei valori mutuati dalla dottrina cristiana. Ma anche dei valori in più. Sono superbo? Forse.

Ma cos'è la superbia? "Eccessiva stima di sé accompagnata da un'ambizione smodata e dal disprezzo verso gli altri". Sollievo, non sono affatto superbo. Accetto i miei limiti, tendo a migliorarmi ma non ho miti, anzi rifuggo chi crede nella perfezione. Ambizione zero, o meglio unica ambizione è diventare calmo e riflessivo, non offendere nessuno, integrarsi, aiutare il prossimo. Nessun disprezzo degli altri. Forse capisco che la superbia è il contrario di essere "politically correct". Quindi quando il Vaticano ci condanna forse commette peccato di superbia. Peggio per loro, andranno all'inferno.

Che lo facciano per invidia? Loro che si sono negati il piacere del sesso, che si sono vietati un rapporto totale e completo d'amore. Loro, i sacerdoti del tempio. Forse soffrono d'invidia. Io non invidio loro. "Sentimento di cruccio astioso per qualità o fortune altrui", secondo il dizionario. Nella teologia consiste "nel dolore per il bene altrui considerato come una lesione o una diminuzione del bene proprio". In italiano esiste anche un'invidia in senso buono che sarebbe "il sentimento misto di ammirazione e desiderio per cosa degna di essere presa ad esempio". Chi ha il male dentro di sé pensa sempre solo al male. Io soffro solo di invidia buona, sono felice della fortuna altrui.

Ira. Comunemente si intende la reazione subitanea e impetuosa contro qualcuno o qualcosa. Per la dottrina della chiesa è più precisamente il desiderio violento di vendetta. Ci possiamo adirare contro il nostro PC dandogli un pugno il giorno che smette di funzionare e si mangia tutti i nostri dati? Non facciamo peccato. Quanto alla vendetta, beh, quello è un piatto che si serve freddo. Senza violenza. Vogliamo toglierci anche questo piacere?

Avarizia. In senso stretto è il ritegno eccessivo a spendere, soprattutto i propri beni. In senso lato indica invece l'avidità di guadagno. Questo mi sembra il vero peccato, qualcosa che ci allontana dagli altri. Ma ognuno è fatto a modo suo e noi possiamo solo dare il buon esempio, anche se, a esser generosi con chi approfitta, possiamo passare per minchioni, in senso figurato.

L'accidia. Anche se quelli del "Grande fratello" ne disquisivano confondendola con l'ira, resta la mancanza di cura nel fare le cose. Mancanza di entusiasmo nel lavoro: gli operai in catena di montaggio potrebbero essere invogliati con un po' di dottrina cattolica. Invece potremmo iniziare a chiamarla pigrizia per essere più chiari. Ma non dobbiamo confondere questo con l'ozio, che è il padre dei vizi: nulla può essere padre di sé stesso, tranne dio, dicono, per cui non può essere un vizio. L'ozio è una virtù tutta laica che ci permette di interrompere le occupazioni abituali per dedicare il pensiero a sé e agli altri, per leggere, per meditare, per spulciare il dizionario.

Se il peccato è "la violazione volontaria della legge di dio" allora io, come ateo, non posso peccare mai. Che sollievo! Le mie lasagne non sono un peccato, lo devo dire al mio medico, che vuole sempre mettermi a dieta. E devo discuterne con il mio fidanzato, a proposito di fedeltà, per capire dove nascono certe regole.
Proviamo a compilare un'elenco laico dei sette vizi capitali? Per la gola potremmo indicare invece la sciattezza del gusto. Per la lussuria possiamo mettere la castità quando è incapacità a vivere gioiosamente una parte, non marginale, di sé.La superbia chiamiamola ignoranza. L'invidia sostituiamola con la non accettazione di quel che si è. L'ira riserviamola verso gli .exe che cancellano i file in ambiente Windows. L'avarizia lasciamola così com'è: gli avari, i taccagni, i gretti, lo sono anche nello spirito, di solito, e si puniscono da soli con l'aridità della loro vita.
Eliminiamo l'accidia così come è sparita dal nostro lessico familiare. Mettiamoci invece chi non fa sesso sicuro per la noia di dover usare sempre il preservativo. Ammalarsi per disattenzione: questo è il vero peccato.
E anziché dire che l'ozio è il padre di tutti i vizi, diciamo che il peccato è il padre di tutti i sensi di colpa. Che hanno rovinato tanti rapporti familiari e hanno spinto tante vite verso l'infelicità. Come dice il mio amico Federico: "sono le madri ebree che hanno inventato il senso di colpa, ma sono quelle cattoliche che l'hanno perfezionato".
Comunque, se un giorno dovessi riuscire ad aprire un localino, un ostello, un ristorantino con camere (un mio vecchio sogno) lo chiamerei "La taverna dei sette peccati" e vorrei stare dietro al banco col fascino di una compassata Marlene Dietrich. Perché se di un peccato dovete accusarmi allora potete dire che sono un po' fuori moda, e oggigiorno questo mi pare sia considerato gravissimo.